Gli omega 3 nella prevenzione dell'infiammazione e del dolore

Che cos'è l'infiammazione?


L’infiammazione è un processo fisiologico che ha l’obiettivo di favorire la riparazione di un danno, ad esempio una lesione da taglio o di altra origine, o proteggere il nostro corpo dall’infezione da parte di microrganismi, o virus. In condizioni normali, l’infiammazione è dunque un processo necessario e prezioso, importante per ripristinare lo stato di buona salute del nostro organismo, quando questo è aggredito da eventi lesivi esterni o interni.
Il problema insorge quando l’infiammazione non si risolve spontaneamente, dopo che la causa che l’ha generata è stata rimossa, ma perdura e si autoalimenta fino a diventare essa stessa una patologia. L’infiammazione che non si risolve (non resolving inflammation) è il problema principale alla base di tutte le più comuni forme di dolore cronico (Ji et al 2014), fra cui il dolore pelvico cronico (per vulvodinia, endometriosi, cistiti ricorrenti abatteriche, cistite interstiziale, disfunzioni del pavimento pelvico, malattie infiammatorie croniche dell’intestino).

Infiammazione: amica o nemica della salute?


Per essere fisiologica, utile alla salute, l’infiammazione deve essere:
- finalizzata al ripristino della situazione anatomica e funzionale ottimale;
- di breve durata;
- di intensità limitata.
E’ fisiologica l’infiammazione associata:
- all’ovulazione, finalizzata a liberare l’ovocita maturo pronto per la fecondazione;
- alla mestruazione, finalizzata a far distaccare l’endometrio invecchiato perché sia sostituito da un nuovo endometrio, pronto ad accogliere un nuovo ovocita eventualmente fecondato;
- al parto, finalizzata ad attivare il complesso meccanismo della nascita, il distacco della placenta e il ritorno dell’utero a dimensioni normali.
L’infiammazione diventa progressivamente nemica della salute quando:
- non è finalizzata a ripristinare lo stato di normalità tessutale, strutturale e funzionale (“non resolving”);
- è di lunga durata (cronica);
- è di intensità elevata.

Perché il processo infiammatorio si può cronicizzare?


I motivi sono molteplici e complessi, come complesso del resto è il processo infiammatorio. Negli ultimi anni numerose ricerche (Serhan 2005; Serhan et Al 2014) hanno messo in evidenza l’importanza di alcuni mediatori, chiamati “resolvine”, nella regolazione degli eventi che portano alla risoluzione dell’infiammazione. Le resolvine hanno la funzione di spegnere il processo infiammatorio e riportare i tessuti a uno stato fisiologico. Se la presenza di resolvine non è adeguata, il processo infiammatorio tende a diventare cronico.
Un recente articolo pubblicato dalla scuola medica di Harvard (Serhan 2005; Serhan et Al 2014) descrive l’azione antinfiammatoria delle resolvine, che derivano dal metabolismo degli acidi grassi omega 3, in particolare DHA (acido docosaesaenoico) ed EPA (acido eicosapentaenoico). Gli Autori mettono in luce il fatto che la nota azione antinfiammatoria degli omega 3 (derivati dell’ olio di pesce, ampiamente utilizzati per la prevenzione cardiovascolare) sia da attribuire in prima istanza proprio al fatto che sono precursori delle resolvine. E’ stato dimostrato che una dieta ricca di omega 3 o una supplementazione con integratori a base di omega 3 aumenta la biosintesi di resolvine, aiutando a ottimizzare e concludere il processo infiammatorio di tipo riparativo.
Fra le principali azioni delle resolvine sono da ricordare:
1) molti effetti sulle cellule che coordinano le difese immunitarie (i nostri “soldati” dei diversi corpi militari che proteggono il nostro corpo), tra cui la riduzione dell’infiltrazione di leucociti neutrofili nei tessuti e la riduzione dell’attivazione dei macrofagi, dei leucociti polimorfonucleati (PMN) e della microglia, che costituisce il sistema immunitario del sistema nervoso centrale (Ji et al 2011);
2) la riduzione della biosintesi di sostanze chimiche che mediano e coordinano l’infiammazione (citochine infiammatorie e chemochine).
Gli omega 3, attraverso la formazione delle resolvine, hanno anche un’azione diretta sulla trasmissione del dolore (Tokuyama et al 2011).

Infiammazione e corretto equilibrio fra omega 3 e omega 6


Gli acidi grassi polinsaturi presenti in natura appartengono a due classi principali, quella degli omega 6, presenti soprattutto negli oli di tipo vegetale, e quella degli omega 3 (DHA ed EPA) che derivano essenzialmente dal pesce. Entrambi i tipi sono definiti “essenziali”, in quanto necessari a uno stato di salute ottimale per il nostro organismo, che non è in grado di sintetizzarli. Gli omega 3 vengono quindi assunti quasi esclusivamente con il consumo alimentare di pesce.
Mantenere un perfetto equilibrio nella dieta fra i due tipi di acidi grassi è indispensabile, perché gli omega 3 hanno un’azione antinfiammatoria, al contrario degli omega 6, che favoriscono invece l’infiammazione (Simopoulos 2008).
Gli omega 6 sono naturalmente molto più presenti nella dieta degli omega 3. Una corretta alimentazione dovrebbe includere una quantità di omega 6 non superiore di quattro, massimo cinque volte rispetto ai livelli di omega 3. Tuttavia, la tipica dieta occidentale moderna contiene, in media, ben 20 volte più omega 6 che omega 3. Invece che 5 a 1, il rapporto attuale è dunque 20 a 1, a favore degli omega 6, pro-infiammatori.
Secondo gli esperti questo squilibrio potrebbe essere alla base della crescente incidenza di disturbi di tipo infiammatorio e cardiovascolare nei Paesi occidentali, o comunque contribuirvi in misura sostanziale.
Nell’ambito del trattamento del dolore e dell’infiammazione, può essere utile l’associazione degli omega 3 con l’acido alfa-lipoico (ALA), un principio attivo di origine naturale con azione antinfiammatoria ed efficacia documentata nel dolore neuropatico. Uno studio ha dimostrato che associare gli omega 3 all’ALA aumenta l’efficacia antinfiammatoria dell’ALA stesso (Rossoni 2010).

Gli effetti clinici di DHA ed EPA


DHA ed EPA sono stati studiati in diverse condizioni e patologie:
- nella prevenzione cardiovascolare (riduzione della trigliceridemia, effetto antiaritmico, riduzione della mortalità nel post-infarto);
- nella dismenorrea (riduzione del dolore mestruale) (Rahbar et al 2012);
- nella sindrome premestruale (riduzione dei sintomi fisici e miglioramento del tono dell’umore);
- nella prevenzione del rischio cardiovascolare in donne con ovaio policistico (Macut et al 2013);
- nell’endometriosi (riduzione della proliferazione delle lesioni endometriosiche dimostrata in modello animale) (Tomio et al 2013);
- in gravidanza e puerperio (effetti antidepressivi sulla madre e neuroprotettivi sul bambino) (Markhus et al 2013);
- come adiuvanti nel trattamento della depressione.

Conclusioni
L’attenzione alla qualità dell’alimentazione è certamente essenziale, sia per ottimizzare lo stato di salute, sia per ridurre i livelli di infiammazione e il dolore ad essi associato. Aumentare il livello di omega 3 quotidiani fa parte dei pilastri della prevenzione. Qualora l’introito alimentare non sia adeguato, è possibile ottimizzarlo con un’integrazione dell’ordine di 200-300 mg al giorno. Alcuni studi suggeriscono livelli maggiori di integrazione, con 1-3 grammi al giorno. Il medico curante valuterà le dosi opportune per un’integrazione ottimale.
In particolare, l’associazione di omega 3 con acido alfa-lipoico ha dato risultati interessanti nella terapia del dolore cronico. Un aspetto quindi da considerare anche nella strategia multimodale della terapia antalgica.

Fonte: Dottoressa. A. Graziottin


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